IL SISTEMA BRAILLE

 

 

Nella seconda metà del Settecento in Francia si erano avuti dei movimenti pedagogici in favore dei sordomuti, ed in misura minore in favore dei ciechi. Valentin Haüy viveva a Parigi, e si racconta di un episodio che avrebbe cambiato radicalmente la sua vita: egli incontrò dei ciechi suonatori ambulanti, vestiti in modo goffo e ridicolo, per divertire il pubblico, e fu molto impressionato da questo spettacolo. Pare anche, secondo un'altra versione, che rimase molto colpito dall'uso che questi suonatori facevano del tatto, per riconoscere le monete offerte loro in elemosina.

Oltre questo aneddoto, si dice che fosse stato anche ispirato dalla lettura dell'opera del Diderot «Lettre sur les aveugles à l'usage de ceux qui voient», del 1749, ed in seguito fu incoraggiato a proseguire nei suoi sforzi dai successi di alcuni non vedenti che si distinguevano in taluni campi, tra cui la giovane pianista viennese Teresa Von Paradies.

 

Valentin Haüy ebbe una intuizione poiché, nel vedere i ciechi maneggiare le monete col tatto, pensò che, come i non vedenti riuscivano a scoprire il valore di queste, così avrebbero potuto benissimo discernere le varie lettere dell’alfabeto. L'idea fu semplice: costruì la lettura per ciechi a segni orizzontali, imprimendo le lettere su fogli di carta. Ne venivano fuori naturalmente libri spessissimi, del peso di sei o sette chilogrammi l’uno e lunghi circa 60 centimetri.

Orgoglioso della sua scoperta, nel 1786 introdusse alla Corte di Luigi XVI i primi ciechi capaci di leggere, ma il Re non mostrò alcun interessamento. Profondo interesse nei confronti della scoperta di Haüy lo dimostrò la Costituente Francese, la quale nel 1791 fondò l’Istituto dei Giovani Ciechi a Parigi, ancor oggi l’unica scuola di stato in Francia. A quell’epoca, fatto molto rilevante, fu lo Stato stesso ad assumere a proprio carico le rette degli allievi. Il programma dell'Istituto Nazionale comprendeva lettura, lezioni orali, musica, lavori manuali molto semplici, come impagliatura di sedie ed intreccio di reti da pesca.

La scuola di Valentin Haüy però non prosperò molto, ed in seguito fu unita al Ricovero per i ciechi invalidi, fondato da Luigi IX, e dopo pochi anni definitivamente chiusa. Valentin Haüy ne aprì in seguito una privata, che dovette poi chiudere per mancanza di fondi.

Lo Haüy fu chiamato dallo Zar, il quale si mostrò molto interessato ai suoi studi tiflologici, e applicando i suoi suggerimenti, diede vita a Pietroburgo ad un istituto per ciechi a carattere prevalentemente educativo. Egli tornò poi in Francia nel 1815, per morirvi nel 1822, ormai deluso e persino con addosso il peso dell'interdizione di farsi vedere nell'Istituto di Parigi, nel frattempo riaperto.

Possiamo quindi affermare che gli sforzi di Valentin Haüy seguirono le stesse sorti della Rivoluzione Francese; il movimento per l’accesso alla cultura dei non vedenti non a caso nasce in Francia, dove fino a quel momento più forti erano stati gli studi sociali e più vigore avevano avuto tutte le idee di affrancamento e di uguaglianza.

Gli sforzi di Valentin Haüy furono frustrati quando ancora era in auge in Francia il regime monarchico, mentre trovarono la loro giusta applicazione durante il periodo della Costituente poi seguirono la sorte di molte conquiste sociali, travolte dal riflusso che segue ogni rivoluzione.

 

Comunque ormai la scintilla aveva acceso qualcosa che era impossibile fermare, ed infatti, sia in Francia, sia negli altri Paesi europei ed extraeuropei sorge l’interesse per il problema, fino ad allora trascurato, del riconoscimento di uguaglianza dei ciechi ai vedenti.

 

A Berlino Federico Guglielmo III e la regina Luisa, nel 1806 emanarono una ordinanza nella quale si decretava la istituzione di una scuola per ciechi con compiti di istruzione, di educazione e di preparazione professionale a totale carico dello Stato. Fu questo un ratio veramente di avanguardia poiché prospettava l’intero ciclo della formazione culturale e professionale dei non vedenti dalla istruzione all'inserimento nella vita produttiva.

A Vienna Klein, che si era tenuto costantemente in contatto con Haüy, fondò un istituto per ciechi e lo diresse personalmente, sviluppando l’insegnamento soprattutto sull’applicazione dei metodi tattili, scoprì che la lettura di un tratto continuo stimolava meno il tatto.

Stesso risultato fu ottenuto Ballù, il quale come Klein inventò un ingegnoso sistema di scrittura, che consentiva ai non vedenti un primordiale sistema di scrittura in rilievo a punti.

Intanto sorsero altri istituti, in Inghilterra nel 1792, ad Amsterdam nel 1808, negli Stati Uniti nel 1838.

Nel 1818 fu fondato il primo istituto italiano per ciechi, dei Santi Giuseppe e Lucia, a Napoli. Dopo circa venti anni sorge un altro istituto, a Padova e nel 1840 a Milano. Sono iniziative che fanno capo alla medesima spinta, quella di un benefattore, un lascito testamentario o interessamento di un gruppo di persone che provvedevano alla raccolta dei fondi.

 

Sono per lo più iniziative di privati, tranne alcuni rari casi dove il mantenimento degli allievi era a carico del Comune o della Provincia, indipendentemente dalle condizioni economiche del non vedente. Ciò che si può dire quindi è che la beneficenza privata ha quindi il merito di aver impostato per prima la ricerca tiflologica e di aver lasciato in piedi una struttura assai interessante, nonostante che fra questi istituti non vi fosse unicità di studi e di programmi, in assenza di disposizioni legislative. Tale assenza in Italia si protrarrà fin verso la fine dell’Ottocento, sia per quanto riguarda l’assistenza, sia per l'educazione. Nel 1890, con Cavour, si ebbe la prima della legge sui non vedenti. Poneva gli istituti per ciechi sotto la tutela delle Opere Pie, subordinando i fini scolastici a quelli assistenziali, anche se la mancanza di leggi in tal senso ha consentito varie sperimentazioni pedagogiche in queste strutture.

 

Quello fin qui tracciato è l’inizio di un processo estremamente lento. I non vedenti, prima dei movimenti sorti sulla scia di Valentin Haüy, erano relegati ad una condizione di subumanità, la cui causa era principalmente quella di non poter accedere all’istruzione; la mancanza di cultura ed il pregiudizio non riconoscevano il non vedente come soggetto di piena personalità giuridica, idonea ad assolvere diritti e doveri, riconosciuti dal Codice a tutti gli individui capaci di intendere e di volere.

Va a Valentin Haüy il merito, forse anche inconsapevole, di aver capovolto una situazione protrattasi fino al suo tempo, così che il cieco, oggetto di assistenza, divenne soggetto di educazione. Restava ancora molto da fare, molte altre tappe, ma certo la prima, non la più semplice, rimane la più importante.

A questo punto è opportuno rilevare che il concetto di cecità si è modificato nel tempo, questo servirà a spiegare perché i movimenti in favore dei ciechi non vedenti son sorti proprio in quel periodo e non in un altro. Nelle considerazioni generali, oltre ai ciechi assoluti, vanno inclusi anche i soggetti con una forte minorazione visiva.

 

Premesso ciò, si può affermare che la cecità non è solo fisica, ma anche storico-sociale. Si può affermare che sono le prestazioni richieste ad un individuo a manifestare determinati problemi. Sono le strutture economiche e sociali, con le loro evoluzioni tecniche, che richiedono prestazioni sempre più elevate e differenziate. E’ utile ricordare che nel periodo di Valentin Haüy, avveniva la radicale trasformazione della società, da agricola e artigianale a industriale, una trasformazione che emarginava ancor più il non vedente che, fino ad allora, aveva alcune occasioni di lavoro nel lavoro nei campi e nell’artigianato minore

Il problema del lavoro si poneva al primo posto, venivano esclusi gli inabili, poiché si richiedevano prestazioni sensoriali diverse ed elevate.

 

Esisteva ulteriore motivo nella diffusione della cultura, non si aveva certo in quel periodo una cultura di massa. Chi non possedeva una certa base culturale non aveva nemmeno i mezzi per far sentire la propria voce ed ecco l'esigenza per i non vedenti di appropriarsi della cultura, per fame e come strumento di rinascita sociale.

Il metodo di lettura di Valentin Haüy ed il successivo sistema di punteggio di Klein e di Ballù, non avevano risolto definitivamente il problema dell’educazione dei non vedenti. A parte il fatto che il cieco potesse solo leggere, i libri erano pochi e per difficoltà pratiche, come già accennato erano molto ingombranti e pesavano sei-sette kilogrammi. Inoltre, la velocità di lettura era comunque bassissima.

 

Louis Braille inventò un ingegnoso sistema di scrittura in rilievo, a puntini, che porta il suo nome e che ha una perfetta aderenza alle esigenze del tatto. Nacque nel 1809 in Francia, divenne accidentalmente cieco all’età di tre anni, fu ricoverato all’Istituto per ciechi di Parigi, studiò musica e divenne un abile organista e insegnante presso lo stesso istituto.

 

Questo metodo Braille: una tavoletta metallica con piccole caselle, aperture rettangolari allineate, ognuna rappresenta lo spazio occupato da un carattere. Si pone la tavoletta su un foglio di carta spesso, con un punteruolo ed attraverso le caselle si incidono sul foglio i puntini.

I puntini, da uno a sei, diversamente combinati in ciascuna casella, rappresentano le lettere dell’alfabeto, i segni ortografici, le cifre, le annotazioni musicali. Scorrendo coi polpastrelli delle dita le linee dei puntini tracciati sul foglio, il cieco legge per mezzo delle sensazioni tattili.

 

Il sistema Braille è probabilmente il perfezionamento di una «scrittura notturna» inventata da un ufficiale dell'esercito napoleonico, Barbier, che se ne serviva per evitare fuochi notturni per la lettura e per avere un codice segreto sconosciuto al nemico. Pare anche che Barbier, venuto a conoscenza del sistema per ciechi, volle conoscere il metodo Braille e ne riconobbe la superiorità rispetto al suo.

La scrittura Braille, pur rappresentando una scoperta eccezionale, non fu subito accettata negli istituti, poiché questi erano diretti da vedenti che non volevano imparare una nuova scrittura, né vedevano la utilità pratica nei confronti di quella di Haüy. Il Braille per questo si impose con difficoltà a Parigi e molto lentamente presso gli altri Istituti europei ed extraeuropei. Nel 1865 a Milano, ad esempio, venne accettato con entusiasmo dagli allievi, ma non dai loro insegnanti. In seguito a ciò gli allievi italiani invitarono gli studenti francesi ad inviar loro lettere scritte in Braille, costringendo così gli insegnanti vedenti a ricorrere al loro aiuto per decifrarle.

 Il metodo Braille in Inghilterra fece la sua comparsa verso il 1868. I Tedeschi lo sottoposero a lunghi studi prima di adottarlo definitivamente. Negli Stati Uniti, prima del Braille, si fece uso del Sistema del Punto, o Sistema di New York, composto di tre file verticali di due punti.

E' chiaro infatti che la disposizione del segno Braille corrisponde in pieno alla conformazione del polpastrello.

Oggi il Braille è l'unico sistema di scrittura e lettura per ciechi diffuso in tutto il mondo, l’U.N.E.S.C.O. ha un comitato apposito con il compito di adattarlo a tutte le lingue. Anche in Cina è stato adottato facendo corrispondere i segni Braille non agli ideogrammi, ma ai suoni da essi rappresentati.

 

Prima di concludere, non è da trascurare un curioso sistema di lettura per ciechi, inventato nel 1847 dal dottor William Moon di Brighton. Questo sistema, poco conosciuto e poco usato fuori dall’Inghilterra, ha una particolarità: consente in qualche misura un controllo da parte del vedente della lettura del non vedente, senza che il vedente debba imparare un nuovo codice. Moon in realtà semplificò l'alfabeto, riducendo alcune lettere a linee essenziali, eliminando segni superflui, ma mantenendo di questi le caratteristiche essenziali, tali da non poter essere confuse.

Moon aveva capito che il tatto riconosce più facilmente e più velocemente i caratteri semplici, divise quindi l'alfabeto in tre serie di lettere: la prima serie era composte da otto lettere romane inalterate nella forma; la seconda serie comprendeva tredici lettere, con parti essenziali o più piccole di queste, e la terza serie aveva cinque forme completamente nuove. Per facilitare l’apprendimento tutti i caratteri, eccetto sei, erano ordinati in gruppi. Tutte le lettere naturalmente sono in rilievo, come nel sistema di Haüy.

Le particolarità di questo strano codice sono essenzialmente due: la prima consiste nel tentativo giusto, ma indubbiamente scarso da un punto di vista pratico, di aver indirizzato la ricerca verso un sistema che tenesse conto delle caratteristiche del tatto e della vista, alla ricerca di una forma intermedia e accessibile contemporaneamente ai due sensi. Il risultato doveva essere un alfabeto che consentisse a vedenti e non vedenti una lettura senza dover imparare nuovi codici specifici. I risultati, per la lentezza di lettura e per la macchinosità di riproduzione, non furono naturalmente eccezionali.

Il secondo aspetto particolare da rilevare è l'aver compreso che il tatto riconosce meglio le forme semplificate, non ridondanti, e quindi ogni qualvolta si deve riportare qualcosa in rilievo, perché il non vedente la comprenda, si deve semplificare al massimo, riproducendo solo le linee essenziali dei caratteri.

 

segue....

 

 

Antonio Azzalin ringrazia vivamente per l’autorizzazione gli autori di “Il Braille un altro modo di leggere e di scrivere” di A. Quatraro ed E. Ventura, Bulzoni editore 1990, da cui è stata riportata parte del testo.

 

Copyright 2011-2012     Studio A. Azzalin Celle Enomondo (Asti) Italy      P. I. 02509870016